«In Italia è difficile ottenere giustizia, per
questo andiamo a Strasburgo», racconta uno dei legali dei comitati. ci sono fondati elementi per ritenere sussistenti violazioni della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo,
raramente citata, già nel preambolo impegna gli stati al rispetto dei
diritti e delle libertà fondamentali, tra cui il diritto alla salute,
che nelle province di Napoli e Caserta viene continuamente calpestato. «Non puntiamo a un risarcimento del danno biologico ma
di un danno esistenziale», sostengono i legali dei Comitati.IL NESSO DI CAUSALITA' -
Gli stessi Comitati si sono rivolti anche al centro antiveleni del Cardarelli
per chiedere di poter effettuare dei controlli tossicologici nelle aree a
rischio, ma al CAV non possono occuparsi di tossicologia ambientale.
Sempre perché manca il nesso di causalità. Eppure l’ultimo studio
dell’Istituto superiore di sanità, intitolato “Analisi di correlazione
geografica tra esiti sanitari ed esposizioni di rifiuti in un’area con
sorgenti diffuse: il caso delle province di Napoli e Caserta”, evidenzia
“eccessi statisticamente significativi di mortalità e di
malformazioni”.
LENTEZZA DEI PROCESSI - Ma seppure venisse riconosciuto il nesso di causalità, come è accaduto per altri agenti inquinanti tra i quali l’amianto, la speranza della giustizia si infrangerebbe comunque contro la lunghezza dei processi. “Un ricorso avviato oggi – spiega Centonze – nella migliore delle ipotesi arriverebbe a sentenza tra sette o otto anni, mortificando la tenacia di chiunque. Ecco perché ricorriamo alla Corte dei diritti dell’uomo: per lottare e resistere - continua - Vogliamo che un organo di giustizia esterno all’Italia verifichi quanto questa terra sia stata abbandonata dalle istituzioni e vogliamo che si accendano i riflettori su come una democrazia occidentale manchi di strumenti di lotta concreti, perché gli attuali tempi dei processi sono inaccettabili». E come primi, abbiamo una responsabilità in più: combattere e sensibilizzare, perché sulla nostra pelle stiamo vivendo una grave violazione dei diritti umani», conclude Valentina Centonze.
LENTEZZA DEI PROCESSI - Ma seppure venisse riconosciuto il nesso di causalità, come è accaduto per altri agenti inquinanti tra i quali l’amianto, la speranza della giustizia si infrangerebbe comunque contro la lunghezza dei processi. “Un ricorso avviato oggi – spiega Centonze – nella migliore delle ipotesi arriverebbe a sentenza tra sette o otto anni, mortificando la tenacia di chiunque. Ecco perché ricorriamo alla Corte dei diritti dell’uomo: per lottare e resistere - continua - Vogliamo che un organo di giustizia esterno all’Italia verifichi quanto questa terra sia stata abbandonata dalle istituzioni e vogliamo che si accendano i riflettori su come una democrazia occidentale manchi di strumenti di lotta concreti, perché gli attuali tempi dei processi sono inaccettabili». E come primi, abbiamo una responsabilità in più: combattere e sensibilizzare, perché sulla nostra pelle stiamo vivendo una grave violazione dei diritti umani», conclude Valentina Centonze.
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